SCLAUNICCO - località via Monte Nero (sito 19)

da 'Presenze Romane' a cura di T. Cividini ed altri

Nel 1986, durante i lavori di sbancamento per la posa delle fondazioni di un'abitazione in via Monte Nero 137, venne riportata alla luce una vasta necropoli, in parte distrutta dai mezzi meccanici in azione; dopo il blocco delle operazioni in corso, fu possibile rilevare la presenza di una ventina di sepolture ai margini dello sterro, ben visibili in sezione.
Si calcola che l'area sepolcrale, indagata dalla dott.ssa P Lopreato con uno scavo di emergenza, dovesse occupare ca. 225 mq, di cui solo un quarto poté essere indagato archeologicamente, limitatamente a due fasce di terreno sui lati Nord ed Est"'.
Le tombe giacevano a profondità diverse: per alcune il piano di posa si trovava 30 cm al di sotto del livello di campagna, per altre scendeva fino a 1,40 m; cinque, sostanzialmente allineate, documentavano il rito della cremazione, mentre le restanti appartenevano ad inumati; a causa dello sconvolgimento delle stesse, non è dato sapere se il notevole quantitativo di materiali fittili, tegole e coppi spesso con resti di malta, fosse da ricondursi a sepolture del tipo alla cappuccina o a cassetta.
Si recuperarono oggetti appartenenti a corredi funebri di epoca tardo repubblicana/alto imperiale, tardoantica e altomedievale, che testimoniano una continuità di utilizzo della necropoli dal I al VII secolo. A differenza della situazione registrata a Iutizzo di Codroipo, non si distinguevano a Sclaunicco aree riservate a deposizioni compiute in precisi periodi di tempo e quindi indicative di una disposizione regolata della zona cimiteriale; secondo la dott.ssa Lopreato, che effettuò il sopralluogo, vi sarebbe stata invece una sostanziale promiscuità durante le varie epoche"°.
Rimane il fatto che le tombe più antiche non vennero intaccate, indizio forse di una abbondanza di spazio o anche di una forma di rispetto verso gli antenati.
Tra i materiali raccolti e pubblicati dal Buora si ricordano due tegole con bollo circolare a lettere rilevate di ATTIAE MVLSVLAE T.f., ben documentato a Lestizza, e sette con marchio a lettere rilevate entro cartiglio rettangolare di C. BANTI, con nesso A+N+T+I.
Proprio il rilevante numero di queste attestazioni ha indotto lo studioso ad ipotizzare una produzione locale dei manufatti, che sarebbero comunque stati esportati anche in zone più lontane"'; la datazione è fissata entro i primi decenni del I secolo d.C..
Nell'ambito della ceramica decontestualizzata pare opportuno segnalare alcuni balsamari fittili fusiformi del tipo Haltern 30, la cui collocazione cronologica non supera generalmente l'età augustea, quando subentra l'uso dei balsamari in vetro; esemplari presenti in strati sigillati della seconda metà del I secolo d.C. devono essere considerati piuttosto degli attardamenti.
Nel territorio del Medio Friuli contenitori simili sono segnalati nella necropoli di Baracius, a Tomba di Merito; piuttosto frequenti i rinvenimenti nelle aree sepolcrali di Aquileia, tra cui quelle di via S. Girolamo ed in località Colombara.
Per quanto concerne la ceramica comune grezza, sono state recuperate e restaurate alcune olle del tipo Auerberg, con decorazione a pettine, forse impiegate come urne cinerarie ricoperte da anfore resecate, che sarebbero state con ogni probabilità asportate insieme alla parte superiore delle olle stesse nel corso delle arature.
Particolare attenzione merita un'olla che reca nella parte inferiore un marchio curvilineo impresso a rovescio: Q ANTONIVS con lettere a rilievo. Per le sue caratteristiche paleografiche viene collocato verso l'inizio del I d.C..
Sicuramente più tarde sono alcune ciotole con orlo arrotondato ed introflesso, sempre in rozza terracotta, con decorazione incisa associata a decorazione plastica, databili tra il IV e gli inizi del VII secolo d.C..
Come si è detto, sono poche le tombe scavate sistematicamente, per le quali è stato possibile provvedere ad un recupero integrale degli oggetti di corredo; ad esempio, la sepoltura n. 16, che conteneva un inumato con orientamento NE/SO, ha restituito un asse di Claudio, una pisside in osso (tipo I della classificazione Bèal - Feugére) ed una lucerna del tipo "Firmalampe" di produzione locale, le quali inducono a supporre una diffusione piuttosto precoce del rito della deposizione in terra (in humus), forse già agli inizi del I secolo d.C..
A proposito di lucerne, il bollo VIBIANI, che compare sul fondo di due "Firmalampen" recuperate nel corso degli scavi, documenta una notevole diffusione dei prodotti di questo figulo nel Friuli centrale e, più in generale, nell'Italia settentrionale, tanto da giustificare una possibile localizzazione della produzione in questo ambito territoriale 147.
Ad un'epoca più tarda - tra la fine del III ed il V/VI secolo d.C.- vanno ricondotte invece due lucerne africane (rispettivamente forma VIII AI e VIII CI d) riconoscibili, oltre che per l'impasto, per la sintassi decorativa: la prima reca impresso un motivo a palmetta sulla spalla e sul fondo; sulla seconda compare un elemento quadrangolare con due cerchi ai lati.
Tra i pezzi più significativi, si deve ricordare uno strigile in ferro, utilizzato solitamente dagli atleti per detergersi dal sudore e dalla sabbia dopo l'attività ginnica e dall'olio misto alla polvere spalmato dopo il bagno; per il materiale con cui è stato realizzato, non sembra cronologicamente andare oltre l'età Flavia; la predilezione per il ferro infatti è solitamente ricollegata alle tradizioni culturali celtiche ed è abbastanza usuale, soprattutto nei contesti tombali dell'età augustea e tiberiana, trovare questo tipo di oggetti associati a pugnali, falcetti e asce nelle sepolture dei guerrieri.
Lo strigile di Sclaunicco è appeso, per mezzo del manico, ad un anello con sezione appiattita nella parte più larga e romboidale in quella più stretta, che trova confronti con un esemplare analogo dalla necropoli di Basaldella di Campoformido. Per una descrizione completa del nostro reperto dobbiamo infine ricordare che proprio sull'anello compare in agemina il nome del suo artefice, realizzato con fili sottili di rame inseriti con martellatura negli spazi predisposti.
Il nome, tipicamente greco, è incompleto a causa del distacco di alcune parti metalliche: Nikeph[oros][e]po[ie]se (lo fece Nicheforo).
Non deve stupire l'utilizzo della lingua greca, che non è raro nella zona altoadriatica e nell'arco alpino, come testimoniato da alcune scritte su recipienti in Magdalensberg.
Nel panorama dei ritrovamenti editi, si annovera infine una coppetta in T .s. africana (forma Hayes 14) degli ultimi decenni del II secolo d.C., che arricchisce, insieme alla coppa di forma Lamboglia 8, la gamma dei reperti ceramici provenienti dal Mediterraneo occidentale anche la Sigillata nord italica è attestata qui nelle sue forme più comuni; in particolare ricordiamo la patera tipo Dragendorff 17 con bollo evanido entro cartiglio rettangolare, in uso nel secondo decennio del I d.C..
A seguito di un'attenta disamina del materiale in discarica proveniente dall'area interessata dalla necropoli, alcuni appassionati locali recuperarono inoltre frammenti fittili riconducibili a contenitori anforacei d'importazione, già noti dallo scavo, due prese di lucerna ed un orlo di balsamario in vetro. A proposito degli oggetti vitrei, è interessante notare che tre dei balsamari recuperati nel 1986 appaiono deformati dal calore del rogo; nel complesso, la datazione dei pezzi, ascrivibili alle forme Isings 8 e 8/27, oscilla tra il I ed il III secolo d.C. , con particolare diffusione nel I secolo.
Come nella necropoli di Iutizzo, anche a Sclaunicco sono stati raccolti numerosi vaghi di collana in pasta vitrea di vari colori e di buona qualità, da riconnettersi forse alla tradizione vetraria aquileiese.
Per quanto riguarda le fibule, presenti in una vasta gamma di tipi, va senz'altro menzionato un esemplare zoomorfo, raffigurante un cervide in corsa verso destra, sormontato da due uccelli sul capo e sul dorso, rifinito a bulino con file di punti alternati con motivi ad occhi di dado, da collocarsi nell'ambito delle "Tierfibeln".
Sulla fibula "a cerniera", tipo Hrusica, pubblicata dal Buora nel 1992, vi sono alcuni dubbi in merito all'effettivo rinvenimento nell'area funeraria di via Monte Nero, essendo la localizzazione dello studioso piuttosto vaga.
Il pezzo potrebbe provenire anche da S. Maria di Sclaunicco. La cronologia deve essere fissata tra la seconda metà del III ed il V secolo d.C.. Un frammento di arco con decorazione fitomorfa trovato nel mucchio di ghiaia dello sbancamento richiama un tipo di fibula ad anello della piena età imperiale.
Chiudono il panorama dei ritrovamenti un orecchino in filo di bronzo ed alcuni pezzi ricollegabili alla variante del tipo "a tre cerchietti", che documentano, insieme ad un sax, la continuità d'uso della necropoli fino alla fine del VI- inizi VII secolo d.C.