LA PALUZZANA

di Marcello Bellina

Gli Ungari
Il Friuli si potrebbe chiamare: La terra delle invasioni. Ne ha subite, in media, due per secolo; una ogni 50 anni. La più terribile di tutte però, senza alcun dubbio, è l'invasione degli Ungari.
Immaginiamo un istante di rivedere questi crudelissimi barbari che marciano e combattono, mangiano e persino dormono sul dorso del loro cavallo. Le loro puntate sono rapidissime ed improvvise. Quando arrivano presso un villaggio, rapinano quanto è loro utile, massacrano freddamente tutti coloro che incontrano sulla loro strada; poi incendiano il villaggio e spariscono. Nei loro banchetti mangiano carne umana e bevono il sangue dei nemici che, secondo loro, è fonte di vita e di eroismo. Dietro di loro lasciano solo il silenzio della morte.
Essi arrivano per la prima volta ai confini del Friuli nell'estate dell'899, spogliano con inaudita ferocia tutto il paese e riescono a penetrare anche dentro le città meglio difese e i castelli murati.
Salomone di Costanza, in visita all'Italia nel 904, scrive:
"Ci stanno innanzi le città Italiane prive di cittadini e i campi desolati perchè privi di coltivatori. Le pianure biancheggiano delle secche ossa degli uccisi e non credo che i vivi uguaglino il numero.di quelli che furono uccisi in guerra".
A Codroipo compiono una delle stragi più spaventose. Dopo aver saccheggiato il paese, tentano invano di passare il Tagliamento in piena, ma non ci riescono e moltissimi annegano. Lividi di rabbia, rientrano a Codroipo e per sciocca vendetta passano tutti gli abitanti a fil di spada. La cittadina rimane completamente deserta.

La cortina
Una delle zone in cui gli Ungari spargono più spesso terrore e morte sono le terre che costeggiano la Stradalta e per essa passano e ripassano ben dodici volte!
Questa fascia di terra diventa un deserto di macerie e di squallore. Nei campi abbandonati crescono spine ed arbusti; nella boscaglia le bestie selvagge scavano le loro tane; i cervi e le volpi diventano i signori incontrastati e spavaldi della zona.
Per difendersi da un nemico così crudele e pericoloso ogni città, ogni villaggio del Friuli compie qualunque sacrificio, pur di avere una cortina comoda e sicura.
Per "CORTINA", cioè piccola corte, si intende un luogo fortificato, cinto di fosso e di mura, situato possibilmente sopra una piccola altura. Nella cortina è compresa la chiesa, il cimitero, ed una fila circolare di case in cui gli abitanti, in tempo di invasione, si rifugiano con le cose di maggior valore e una scorta di viveri.
Al primo allarme, donne e bambini terrorizzati e piangenti, si raccolgono nella chiesa per ripararsi dalle intemperie, per mangiare, riposare e soprattutto per pregare.
Intanto gli uomini si apprestano alla difesa cercando di colpire l'avversario dalle piccole finestre ovali che danno sulla strada.
Anche Lis-tizies costruisce la sua brava cortina intorno alla chiesa, di cui restano ancora numerose tracce. Nello scavo per le fondamenta del campanile si è scoperto il tracciato dell'antico fosso che circondava la cortina. Con la terra ricavata, si elevò la collinetta sulla quale sorge attualmente la chiesa. Il ponte levatoio era collocato in mezzo alla strada che porta alla chiesa, dove sorgeva un tempo l'antica torre-campanile.

La pacifica invasione slava
In questo periodo il Friuli si trova sotto il dominio dei Patriarchi di Aquileia, preoccupati e sgomenti per la tragica situazione. Urge trovare un rimedio per rincuorare gli scampati, bonificare la terra, ripopolare i villaggi deserti.
Costoro invitano le popolazioni slave che vivono in Carinzia o al confine orientale del Friuli ad avvicinarsi alla pianura ed occupare le terre deserte.
Gli Slavi accettano e dopo il 950 cominciano a scendere a piccoli gruppi e ripopolare la "Vastata Ungarorum".
Avanzano prudenti e pieni di buon senso. Non pretendono mai di occupare le terre coltivate dai pochi Friulani superstiti. Si stabiliscono sulle terre abbandonate ed incolte ed iniziano una rapida ricostruzione. Ben presto assumono i costumi e la lingua delle popolazioni Friulane; una sola cosa evitano con cura, almeno nei primi tempi: i matrimoni misti fra Slavi e Friulani. Forse per questo motivo conservano ancor oggi pregi e difetti del loro ceppo d'origine.
Da Aquileia i Patriarchi li seguono e li proteggono con grande fermezza.
Nel 1350 il Patriarca Bertrando di S. Genies punisce con inflessibile rigore alcuni feudatari, fra cui il signore di Castellutto (Flambro) a causa dei soprusi e delle arroganze commesse contro di loro.
Un esplicito riconoscimento di questa operosità dei Patriarchi si trova in un diploma di Ottone III del 1001, in cui si legge che l'Imperatore concede al Patriarca "Tutte le ville che il predetto Patriarca - Giovanni di Ravenna - o i suoi predecessori hanno edificato dopo la nefanda invasione degli Ungari".

La "List-izza" de "Paluzzane"
Un piccolo gruppo di questi graditi ospiti si ferma nella zona chiamata ora "Paluzzana" e lì costruisce o ricostruisce un paesetto di modeste proporzioni.
Come verrà chiamato? Lì vicino c'è "Lis-tizies" il villaggio-fortezza di origine romana.
I nuovi venuti danno al loro paese un nome molto simile: List-izza, ché però in slavo ha un significato ben diverso. Infatti nello slavo antico "list" significa luogo selvoso, boscaglia; "izza" significa località. Il tutto dovrebbe dunque significare: il luogo del terreno boscoso che corrisponderebbe al Friulano: La Selve.
E ciò concorda a perfezione con quanto già sappiamo: gli Slavi, di preferenza, occupano i luoghi incolti ed abbandonati.
Ci sono dunque, in questo tempo, due paesi vicini e con un nome simile: "Lis-tizies" e "List-izza", anche se di significato diverso. Ciò è confermato da quanto affermano i vecchi senza ombra di dubbio: 'Una volta Lestizza era nella Paluzzana'. Ed ancora: 'Una volta Lestizza aveva due nomi: Listizza e Listizia'.
Siamo così giunti all'anno 1000 o lì vicino.
List-izza, il modesto villaggio della Paluzzana è ormai un fatto reale: sorge a quasi un chilometro dalla vecchia Lis-tizies, fra Galleriano e Talmassons.
Documenti sulla Paluzzana finora non ne sono stati trovati, salvo forse uno di cui abbiamo già parlato; ma i ricordi dei vecchi sono vivissimi ed i reperti numerosi.
Centro del villaggio, sembra sia stato un pezzo di terra di circa mezzo campo, leggermente rialzato, asciutto e in gran parte sabbioso, che attualmente si chiama l'Ortùt.
I reperti finora trovati provengono da una superficie di circa sei campi, estensione più che sufficiente per un paesino di modeste proporzioni.
Ancor oggi i campi della Paluzzana sono leggermente accidentati; si notano qua e là sul terreno alcune forme geometriche, segno che sotto stanno le fondamenta di qualche costruzione distrutta e sepolta.
Il resto più chiaro è l'orifizio di un pozzo, riempito di terra, del diametro di circa due metri.
Quando i contadini arano in profondità vengono alla superficie mattoni, pezzi di ferro e cenere, tanta cenere nera, a chiazze, quasi a ricordare un grandioso incendio che distrusse, tanto tempo fa, il piccolo caseggiato della Paluzzana.
Ma perchè quel luogo si chiama la "Paluzzana" o meglio ancora "las Paluzanes" ? Forse perchè i campi d'intorno erano paludosi? In questo caso la Paluzzane significherebbe la zona delle paludi.

Un mattone importante
Uno dei tanti mattoni venuti alla luce durante un lavoro di aratura può dirci su questo fantomatico villaggio molto di più di quanto si potrebbe credere.
E' un mattone impastato a mano, con la faccia superiore bombata.
Il mattone risulta modellato secondo il metodo usato nella zona nel 1200, con argilla delle paludi locali. Fu cotto con arbusti di salice, e da qui deriva il colore giallo-rosa scuro e un gradevole odore di cotto. Per di più non è facilmente friabile, risulta molto resistente all'umidità, e sembra essere appartenuto alla corona circolare di un pozzo, sia per la sua forma di mezzaluna, sia per il suo notevole spessore.
Il mattone è sempre segno di civiltà evoluta. I selvaggi usano sassi, non mattoni. Quando poi questo assume una forma più elegante del solito, è segno che la società che lo produce non ha eccessive preoccupazioni per la vita quotidiana, ma può prendersi il lusso di fare cose belle e superflue.
Da queste riflessioni possiamo concludere che l'anno 1000 dopo Cristo, nella Paluzzana, esiste un paesetto attivo e discretamente ricco, dove la popolazione non ha solo il necessario alla vita, ma può anche permettersi qualche lusso secondo le condizioni del tempo.
Ed ora, per curiosità, potremmo porci un'altra domanda: - Esisteva già un insediamento umano, nella Paluzzana, quando arrivarono le popolazioni Slave, cioè prima delle invasioni ungare? Qualcuno afferma di sì e lo fa risalire alle centuriazioni romane.

Belamìn
L'archeologo, scopritore delle... antiche vestigia della Paluzzana è un simpatico e curioso tipo di agricoltore, Garzitto Beniamino, detto Belamìn, peraltro fedelmente coadiuvato dalla moglie Maria chiamata familiarmente dai compaesani "Miuss".
Belamin è nato a Lestizza i1 16 aprile 1843 e muore a 78 anni il 21 settembre 1921.
E' un uomo alto e magro dalla testa piccola e rotonda. Fa l'agricoltore quando, un giorno, sente parlare della Paluzzana, detta la vecchia Lestizza, del pozzo dove sono nascoste le campanelle d'argento, delle grandi cantine sepolte. Mosso più dalla sete di svelare un mistero appassionante che dal desiderio di lucro, Belamin lascia il misero gregge di pecore (l'armentâr) alle cure della moglie Miuss, chiede il permesso al museo di Udine, e parte... per l'avventurosa ricerca.
Cioè, non parte una volta sola; parte per l'Ortùt ogni mattina, con carriola, badile e crivello ed ancora prima dell'alba inizia il faticoso lavoro.
Setaccia quasi tutto il mezzo campo dell'Ortùt, palmo a palmo, fino ad un metro di profondità.
A mezzogiorno Miuss porta sul luogo il modesto pranzo che Belamin consuma seduto sulla fedele carriola. Alla sera torna a casa, certo che durante la notte nessuno ficcherà un naso indiscreto nei suoi scavi. A quei tempi i buoni Cristiani non uscivano di notte; ed a Lestizza, sempre a quei tempi, erano tutti buoni Cristiani.
I curiosi non mancano; i ragazzi, talvolta spinti in avanguardia dai genitori, vanno spesso ad importunarlo. Allora Belamìn interrompe infallibilmente il lavoro, si siede sulla sponda della carriola e risponde sorridendo all'intruso.
Perchè sospende il lavoro? Per riposare? Per non dare in pasto ai curiosi le sue scoperte? Non sembra vero perchè poi, a casa, mostra tutto a tutti. Alcuni dicono per non spaventare la gente, perchè spesso affiorano scheletri... La verità vera la sa solo lui.
Vive di povertà e muore di miseria, perchè Belamìn porta i reperti al museo di Udine e non riceve, per sè, che l'indispensabile per vivere. Scava per sei anni difilati ed ogni settimana va a portare le sue scoperte a Udine dove si gode un'intera giornata di meritato riposo.

I reperti
Belamìn trova un'infinità di cose piccole e grandi.
Fra le piccole, riporta alla luce monete, piatti, anelli e braccialetti d'oro, statuette, ciondoli, campanelli in bronzo per mucche, pezzi di ferro lavorato, cùccume di rame, stampi e tanti, tanti mattoni e mattonelle di ogni forma e dimensione.
Uno dei ritrovamenti più strani è una serie di secchielli in rame (cjalderùz) del diametro medio di 10 centimetri, di varie forme e dimensioni. Ancor oggi certe nonnette ricordano che da bambine, in occasione delle grandi feste, Miuss le chiamava a lavare (freà) i secchielli che poi esponeva in bella mostra.
Vicino ai reperti minuscoli, vengono alla luce tracce di costruzioni notevoli. Nell'Ortùt Belamìn scopre le fondamenta d'una chiesa e resti di un pavimento in granito di vari colori e di un discreto campanile.
Intorno rintraccia le fondamenta di case piccole e grandi, fin troppo grandi per un villaggio di quell'epoca; e non lontano un pavimento in mattonelle cotte e tanti pezzi di marmo.
Un bel mattino Belamìn scopre due scheletri; giacciono in una specie di rozzo tumulo, senza coperchio, e intorno brillano alcuni oggetti d'oro.
Sono i resti di due donne, che rivestono una gonna a fiorellini bianchi. Appena lo scopritore si avvicina per toccarli, tutto si dissolve in polvere.
Ma la più grande meraviglia e la più grande delusione, Belamìn la prova un giorno, quando scopre una grande, immensa cantina, colma di tanti sacchi che sembrano pieni di chissà che cosa. Si avvicina esitante al primo, allunga la mano per aprirlo, e come d'incanto il sacco si discioglie in cenere che si sparge al vento. Nasce una vera reazione a catena; in pochi istanti, di quella fila di sacchi, non resta che una scia di polvere.
Non è l'unica sventura.
Un brutto giorno, si è in piena guerra - Miuss pensa di nascondere i "Cjalderùz" sotto terra, in una buca della Paluzzana. L'indomani torna là per controllare: tutto è a posto, fuorchè i "Cjalderùz" che non ci sono più.
Belamìn scava anche nel cerchio del vecchio pozzo dove, dice la leggenda, furono sepolte le campane d'argento quando s'avvicinarono le orde selvagge dei Turchi che compirono la distruzione del paesino...
Che cosa ci trova dentro il nostro Beniamino? O qualcuno aveva scavato prima di lui? O qualcuno scavò dopo, come si va sussurrando? Le campane ci sono ancora o non ci furono mai?
Per il momento è tutto un grande mistero.

Sante Gnede
Ed eccoci arrivati ad uno degli episodi più suggestivi della storia della Paluzzana, la scoperta della statua di sante Gnede (sant'Agnese) in mezzo ai campi.
Un contadino sta arando tranquillamente nel suo campo, quando scorge, poco distante, una statuetta coperta di fango. La raccoglie con devozione e la porta dal sacerdote. Questi, dopo averla esaminata a lungo, trae questa inaspettata conclusione: si tratta della statuetta di sant'Agnese che un tempo si trovava nella chiesa della Paluzzana, dedicata precisamente a sant'Agnese e Agata.
La statuina viene collocata provvisoriamente sopra un altare della chiesa di san Giacomo. L'indomani la gente accorre numerosa e devota per vedere e pregare, ma la statua non c'è più! La ritrovano, qualche tempo dopo, nello stesso campo, nello stesso posto.
Allora qualcuno propone di andarla a prendere in processione, pregando e cantando, con tutta la solennità che i fedeli di quel tempo, per quanto poveri, sanno raggiungere nelle loro manifestazioni di fede.
E questa volta, la statua rimane al suo posto. Là dov'è ancor oggi.
Ora viene da chiederci: il fatto è storico o leggendario?
Tanto più che fatti simili sono avvenuti in altri tempi ed in altri luoghi.
I presuntuosi delle diverse sponde risponderanno senza esitare:
- E' storia!
- E' leggenda!
Noi, più modestamente, rispondiamo
- Non so... Può essere storia e può essere leggenda. Però, se rispondiamo che è leggenda, si pone un'altra domanda: - Perchè l'avrebbero inventata?

I pezzi del mosaico
Ora, i pezzi del mosaico sembrano combaciare a perfezione: nella Paluzzana il paese c'è davvero!
Si estende su una superficie di circa sei campi, cioè 20 mila metri quadri, un villaggetto insomma di metri 100 per 200, circondato da un muro o da una palizzata.
Nel punto più alto, l'Ortùt, c'è la chiesa, il campanile, il cimitero.
Lì ci si rifugia nei momenti di emergenza, lì chiedono ospitalità i viandanti che passano per la strada "dai Comunaj" quando la pioggia sommerge il fondo stradale.
Di fronte c'è il pozzo; sul piazzale antistante la chiesa, le case, per quei tempi, davvero belle e grandi.
A qualche distanza s'erge la chiesetta di San Giovanni che dipende dal villaggio della Paluzzana ed è un punto d'incontro con San Vidotto e con il quale è in stretto collegamento.
Le relazioni con la Lestizza antica devono essere buone, poichè in un documento dell'Archivio parrocchiale si legge che nel 1300 i fedeli di Lestizza si recano in processione alla chiesa di Sant'Agnese e Agata, in mezzo ai campi...
Ma come mai, in uno sperduto villaggio della Bassa Friulana, tante cose belle, tanto oro, tanti anelli? Sono oggetti votivi? Frutto di furti? Opera di artigiani locali? E a che servono
quei "Cjalderùz" così belli e numerosi? Sono giocattoli per bambini, oggetti di lusso, recipienti preziosi? E i cadaveri sepolti con tanti oggetti d'oro? E la leggenda delle campane d'argento?
Gli abitanti di questo villaggio sono contadini o hanno attività ben più redditizie?
Resta il fatto che la Paluzzana è certamente uno dei luoghi più belli e più ricchi dei dintorni.
E nello stesso periodo, parecchi abitanti di Lestizza possiedono delle case a Udine. Per i tempi, è segno di discreta ricchezza. Da dove viene?
A tutte queste domande, non sappiamo che risposta dare; sappiamo invece che ben presto verranno i turchi a distruggere tanto benessere e che i pochi abitanti sopravissuti alla strage si rifugieranno nella cortina della vecchia Lestizza.