LE INVASIONI TURCHE

di Marcello Bellina

L'incursione del 1477
Negli ultimi tre decenni del 1400 il Friuli viene devastato da ben sei invasioni di eserciti turchi provenienti dalla Bosnia e guidati dal coraggiosissimo e crudelissimo Scanderberg Pascià. Si riversano come un torrente devastatore nel Friuli predando e saccheggiandone i paesi da Monfalcone a Sacile, da Marano a Tolmezzo, bruciando e devastando case, villaggi e campagne.
Udine per ben tre volte vede i loro cavalli pascolare sull'orlo dei suoi fossi ed abbeverarsi nelle sue rogge, mentre tutt'intorno le località cadono in preda alla loro furia distruttrice.
Durante l'invasione del 1477, i Turchi che avanzavano con dieci mila cavalli sbaragliano le milizie venete a Lucinico e poi dilagano in tutta la provincia fino a Pordenone. Saccheggiano e bruciano più di cento villaggi cagionando danni incalcolabili e la perdita di 8 mila persone in parte uccise, in parte portate in schiavitù.
L'anno seguente non si trova più nessuno che voglia lavorare la terra, tale è lo spavento delle popolazioni. Durante questa prima invasione si salvano però i paesi che hanno una buona difesa come Udine, Codroipo, Mortegliano e molto probabilmente Lestizza.
Dice a questo proposito la cronaca Strassoldo:
"Corsero in la Patria et primo ruppero apresso lo conte di Gorizia la zente d'arme cun maxima occision et cesura delle ditte zenti: po' discorrero dita Patria brusandola et ponendola quasi in preda a presso Sacile". Il notaio Lorenzo de Papiris scrive: "adì primo novembre discorerino per lo Friule di qua de Taiamento. Adì 6 dito da rechavo discorerino et passarino il Taiamento et ferino grandissimo danno robando brusando amazando et menando via multi cristiani".
L'invasione turca del 1499.
Vent'anni dopo, quando proprio nessuno se l'aspetta, avviene l'ultima e più terribile invasione turca. Forti di 17 mila cavalli, questi barbari sanguinari si spandono di nuovo in tutta la provincia, devastandola fino al Livenza. Fanno 7 mila prigionieri, ma ne scannano 1.500 al loro ritorno dalle rive del Tagliamento in piena e mandano 300 ragazzi e ragazze in dono al sultano Baiazete.
Scrive in proposito F. di Manzano:
"Scannarono le donne e i fanciulli, quelle dopo averle violentate sotto gli occhi dei mariti, questi strappandoli dal seno dei genitori, e trucidarono i prigionieri di cui non poteano servirsi, traendo gli altri a dura schiavitù".
Con 15 mila cavalli infuriano contro Sedegliano. Molti uomini vengono fatti schiavi e molte donne vengono scannate perchè si oppongono alla loro sfrenata libidine. Il parroco Jacobo de Orcu, che ha tentato di salvare il paese, viene legato mani e piedi ad un albero della cortina, battuto a sangue e mutilato del padiglione destro degli orecchi (Palladio).
"Tra le altre ville de qua del Taiamento brasarono la villa e cortina di Pantianins e tutto homeni putti 'e femene furono morti e molte altre ville".
A Pieve di Rosa un soldato turco, entrato in una cantina, viene, per rappresaglia, annegato in una botte di vino dagli abitanti esasperati.
Di questa grande disfatta la vergogna maggiore cade sulla Repubblica di Venezia e sulla viltà dei suoi soldati che avrebbero potuto arginare le feroci orde turchesche, anzichè rinchiudersi, inerti, nelle loro inutili fortezze.
Belgrado, salva per l'eroismo del suo capitano Soldoniero di Strassoldo, ce ne dà chiara testimonianza.
Le conseguenze
Le invasioni turche lasciano un ricordo spaventoso in Friuli; solo così si comprende come nel 1571, quando il Papa indice tra i principi cristiani la crociata contro i turchi, i friulani vi prendano parte con vivo entusiasmo.
Un'intera galeazza viene armata con volontari friulani; sono circa 300 e fra questi, il fiore della nobiltà friulana: gli Antonini, i Colloredo, i Maniago, i Porcia e gli Strassoldo. A Lepanto essi combattono come leoni e contribuiscono con il loro valore alla sconfitta dei turchi. Dei trecento che erano partiti ne ritornano appena 60. Dei nobili periscono tre dei Colloredo, uno dei Maniago, uno degli Strassoldo ed è ferito gravemente uno dei Porcia.
La fine della Paluzzana
Durante l'invasione del 1477 i turchi si limitano ad uccidere quanti incontrano e a bruciare i luoghi fortificati. Ma nella seguente scorreria del 1499 bruciano e radono al suolo innumerevoli paesi e massacrano un numero spaventoso di persone.
Proprio durante quest'invasione vengono incendiate e distrutte S. Vidotto e la Lestizza della Paluzzana.
Per la Paluzzana la lotta è breve e decisiva. Appena avvistati i turchi, le sentinelle danno l'allarme. Gli uomini si preparano alla lotta, le campane d'argento vengono gettate nel pozzo e ricoperte, in parte di terra, nella speranza di ricuperarle poi.
In seguito l'assalto, la lotta feroce, l'incendio furioso, la fuga dei superstiti verso la cortina di "Listizies" unico rifugio veramente sicuro. La "Listizza" della Paluzzana non risorgerà mai più.
La distruzione di San Vidotto
Diverso il destino di San Vidotto. Anche lì avviene l'assalto dei turchi, lo sterminio feroce delle genti, la distruzione completa dell'abitato, compresa la chiesa.
Metà della popolazione scampata al massacro si rifugia nella cortina di Flambro, l'altra metà si dirige verso quella di Lis-tizies, ben più sicura perchè assai più lontana dalla terribile Stradalta. Infatti la cortina di Flambro dista di quella di Lestizza esattamente 6.000 passi.
Anche Flambro subisce gravissimi danni.
Al contrario Talmassons, cosa incredibile ma vera, riporta da quest'invasione notevoli benefici. Infatti gli abitanti del luogo, anzichè opporsi ai Turchi, simpatizzano con loro e offrono sicuro asilo nelle loro case ai reduci delle scorrerie e delle devastazioni. Spesso tale simpatia si cambia... in dolce amore, e il dolce amore in giuste nozze. Da qui l'origine del cognome - Turco ancor oggi così frequente a Talmassons.
Secondo la leggenda i profughi di S. Vidotto arrivavano alla cortina di Lestizza attraverso una galleria sotterranea che unisce i due paesi.
Il ricordo di gallerie sotterranee è comune a molti paesi. Alcuni le definiscono invenzioni prive di fondamento. Però di tanto in tanto qualche galleria si ritrova, ad esempio quella che unisce il castello dei Savorgnan alla chiesa di Flambro.
In ogni caso, esista o non esista la galleria, la leggenda ha certamente un significato. Forse vuol ricordarci che i due paesi, durante le invasioni barbariche, erano in stretti rapporti di amicizia e nel pericolo si offrivano reciproco aiuto, rifugio, ospitalità.
A conferma dell'emigrazione da parte della popolazione di S. Vidotto alla cortina di Lestizza, abbiamo due dati certi. Il primo consiste nel fatto che ancor oggi molte famiglie di Lestizza possiedono campi intorno alla chiesetta di S. Antonio ed anche oltre; proprietà, queste, che risalgono, a prima delle invasioni turche. Il secondo si fonda sul fatto che molti cognomi si ritrovano nei registri di quel tempo, con pari frequenza, a Flambro e a Lestizza. In particolare sembrano venuti da S. Vidotto i Prezza, i Garzitto, i Nardini, i Comuzzi, e soprattutto i Gomboso, che erano i più ricchi di tutti. Diversa invece l'origine dei Pertoldi e dei Di Marco.
La rinascita di Sant'Antonio
A differenza della Paluzzana, S. Vidotto risorge dunque senza indugio. Anche la sua chiesetta viene ricostruita, quasi identica alla precedente, dieci anni dopo la distruzione. Nel 1555, con bolla papale, Paolo IV la riconosce come importante santuario e l'arrichisce di numerose indulgenze e privilegi.
Le confraternite sono quelle di S. Antonio abate, del Santo Rosario, degli Eremiti, dei Santi Martiri, tutte riconosciute con decreto papale.
In questo nuovo paesino vivono il parroco e i rappresentanti delle confraternite con le loro famiglie. Lavorano le terre di proprietà della chiesa, ricche di vigne e di frutteti.
La chiesa è amministrata da quattro camerari, di cui due di Flambro e due di Lestizza. Questi ultimi, di solito, fanno la parte del leone e insediano a S. Antonio parroci originari di Lestizza. C'era ancora tempo fa a Flambro un calice che portava il nome di due camerari di Lestizza: Pertoldi Pietro ed Ecoretti Giuseppe. E ce n'è tuttora uno che ha inciso sul piede questa dicitura: 1679 - Fu fatto sotto la cameraria de Valentino Bertoldo dell'Istizza.
Dalla storia di Pio Paschini, ricordiamo il seguente brano che ci parla di una visita pastorale alla chiesetta di S. Antonio.
"Il rev.do sig. visitatore sopradetto andò alla chiesa campestre di S. Antonio, nel luogo chiamato S. Vidotto, filiale della sopradetta parrocchiale di Flambro; la visitò e ordinò quanto segue: si allarghi d'un palmo ai lati dello altare con tavole di legno; si provveda di una croce di legno dipinto, e di un cuscino e di pallio di cuoio dorato l'immagine di S. Antonio posta nella parte del Vangelo, si porti nella chiesa parrocchiale, si bruci nel cimitero della stessa, e le ceneri si pongano nella piscina del sacrario. Si faccia la lampada in ottone (oricalco). Si innalzi quanto è sufficente il muro in giro al cimitero, e si faccia la porta al suo ingresso, che si tenga assiduamente chiusa, per evitare l'ingresso degli animali ".
Da "Sot la nape" riportiamo la seguente nota dei camerari di S. Vidotto:
15 APRILE 1685
Pei lavori fatti torno la Chiesa, smaltacar el muro del Cjmitiero desrusinir il portonetto svangar e netar el Cjmitiero L. 2
Pe la festa del Pan del Santo ed per li lavori del fornar L. 1,10
Per la S. Messa Sollenne di Terzo L. 2.50
Olio e ceri pe l'altar e lusore L. 4.10
Ali portadori de li empresti questo ano no se dato gniente per via de la carestia del suto, che ga brusa il colto.
A questi buoni gjovini faremo la merenda delle fogasse nel di di nostra S. Pasquetta.
Nel 1848 si divulgano voci persistenti di visioni e di miracoli. La Chiesa non interviene, lascia correre senza nè smentire nè approvare ciò che si dice. E la cosa cade da sè, pacificamente.
Ciò che non fecero i Turchi, fecero gli Italiani
La distruzione definitiva, che i Turchi non sono riusciti a compiere, la porta Napoleone e i suoi sàtrapi. Nel 1806 confisca tutte le proprietà della chiesetta; gli abitanti impauriti ed umiliati si allontanano fissando la loro dimora nei paesi vicini.
L'ultimo parroco di S. Antonio è don Giacomo Castellani, rimunerato dai fedeli di Flambro.
Finalmente il governo italiano, appena conquistato il Friuli, sopprime tutte le confraternite e spoglia la chiesetta di ogni suo bene. Ciò che i turchi non erano riusciti a fare, lo hanno fatto gli italiani!
Messe e legati
Sin dal 1539 presso la chiesa di S. Antonio Abate esistono diversi "legati perpetui" per la "limosina di una santa Messa di soldi trenta".
Nel 1829, il pievano Giuseppe Gressani da Villacaccia, a causa della svalutazione del soldo, chiede ed ottiene la riduzione di tali legati. Mons. Emanuele Lodi definisce quante messe legatizie si devono celebrare ed in quali circostanze. Per i parroci di Lestizza, cosi viene stabilito:
"Li 17 gennaio, tutti li Parroci di Lestizza, giungeranno con li fedeli processionalmente in Sant'Antonio Abate, canteranno la Santa Messa di Terzo ed altre, come per antichissima consuetudine; essi avranno per diritto a questa limosina di L. 5 venete, ed agli altri, che celebreranno in singolo si danno la limosina di lire 3 venete".
"I parroci di Lestizza dovranno anche celebrare due sante Messe con noturno per l'anime dei benefattori e avranno per limosina lire 3 venete dalli amministratori della Parrocchia di Flambro; le messe dovranno essere celebrate per il mese di ottobre di ogni anno".
Emanuele Lodi vescovo di Udine, Alfonso Belgrado cancelliere vescovile.
Quell'anno il pellegrinaggio conta ben 475 anime, forse non tutte di Lestizza. Queste notizie risultano dal Catapan, cioè dal registro dei morti, della pieve di Flambro.
I Turchi a Mortegliano
Anche Lis-tizies - che ormai chiameremo Lestizza - viene più volte assalita da orde di turchi che provengono non dalla Stradalta, ma direttamente da Mortegliano. In queste tragiche vicende Mortegliano dimostra tutta la sua organizzazione ed il suo valore. Si legge nella "Chronica di Nicolò Maria Strassoldo":
"Fra le altre ville al di qua del Taiamento brusò Morteglian in tutto, che non rimase una stalla e amazzarono homeni 29 e una femena. Tamen per probità delli homeni di detta villa se preservò la cortina alla quale li detti turchi dettero battaglia dì e notte la dì di san Francesco e lo dì seguente, dove molti dei turchi furono morti mentre al di fuor della cortina fu tutto bruciato. Tutti li homeni furono morti per la villa prima che si potessero ridurre nella cortina salvo Giacomo del Favro che vi morì dentro per una botta di schioppo".
Secondo il Sabellico, la faccenda avviene in questo modo: E' tempo di vendemmia e i contadini sono nei campi. Appena avvistati i Turchi, si suona la campana a martello, si corre alle armi, ci si rinchiude nella cortina. All'ingresso del paese s'attardano alcuni contadini che vengono trucidati senza pietà. Nella Cortina, dietro le mura, si è pronti a difendersi fino alla morte. Gli uomini sono sugli spalti e sulle torri, le donne i bambini a pregare in chiesa a far voti, ad abbracciare i piedi delle Statue piangendo. La lotta è aspra, ma i turchi non riescono a sfondare e sono costretti a desistere dall'assedio. Con rabbia bruciano le stalle e le abitazioni, ma i difensori sono salvi.
Da notarsi due particolari interessanti:
I difensori della cortina combattono agli ordini del Parroco che incoraggia i combattenti e dirige personalmente le operazioni di difesa. Fra le persone uccise c'è un uomo di Lestizza di nome Zuane di Sebastian.
Arrivano a Lestizza - La toresse di Garzìt
Da Mortegliano a Lestizza il passo è breve. Lestizza, più povera e più piccola, fa meno gola, però sembra più facile da espugnare. Così, di tanto in tanto, qualche gruppo di soldati turchi abbandonano il grosso del reparto e puntano sul villaggio isolato. Ma lassù, sulla "toresse", c'è chi vigila e dà l'allarme. La "toresse di Garzìt"? A Lestizza, oggi, pochi sanno cos'è e dov'è.
La "toresse" è un'antica torre, costruita alla fine del Medioevo, cioè verso il 1450, proprio per seguire le mosse dei Turchi e dare l'allarme in caso di pericolo. Sarà ridotta a colombaia nel 1600. Essa è visibile dalla chiesa di san Biagio. Si trova al centro di un gruppo di case rurali che conservano ancora le antiche caratteristiche: stradine tortuose, povere bastionature di case fortificate, soprattutto grandi, caratteristici portoni discontinui non privi di rustica armonia. E' certo la parte più antica del paese. Quando le sentinelle che vigilano sulla "toresse" dànno l'allarme la gente con il bestiame e i viveri fugge dentro la cortina attraverso il ponte levatoio e le porte del campanile. Si apre il passaggio all'acqua del suej che riempie il fosso intorno alla cortina e si chiudono le porte del campanile che si erge in mezzo alla strada.
Gli uomini solidi si preparano a combattere attraverso le caratteristiche finestre ovali, chiuse da ferri incrociati, come se ne possono vedere, a Lestizza, ancor oggi.
Donne e bambini si rifugiano nella chiesa che ormai servirà da rifugio in cui mangiare, dormire e soprattutto invocare Dio con la nuova preghiera: "A flagello Turcorum, libera nos Domine".
Dal flagello dei turchi, liberaci o Signore! Così la casa di Dio diventa la casa dei profughi e dei perseguitati.
I turchi arrivano intorno alla cortina, ma non riescono a sfondare. Merito un po' anche della "toresse" che oggi, dimenticata dai paesani ingrati, sta cadendo lentamente in rovina. Eppure è ancora una delle più belle del Friuli Centrale, ed à resistito anche all'ultimo terremoto.
Reperti e conferme
In questi ultimi anni, durante gli scavi per le fondamenta del campanile, furono trovati scheletri di robusti giovani fra i 20 ed i 25 anni. Il medico affermò che si trattava di soldati turchi periti durante l'assalto al paese. Pare che i turchi non siano mai riusciti a penetrare nella cortina di Lestizza; perlomeno documenti in questo senso non ce ne sono e gli anziani, che parlano con terrore delle barbarie turchesche, non fanno memoria nè di uno sfondamento della cortina nè di una conseguente strage.
Un'altra conferma a quanto si è detto, si può avere nel nome di due vecchie strade: via di Starpét e via di Grovies. Starpét viene dallo slavo - star - che significa: antico, vecchio. Via di Starpét significa dunque: la strada vecchia ed infatti è la strada per cui anticamente si andava a Mortegliano, prima che fosse aperta la nuova via.
Così si può capire perchè la "toresse di Garzìt" sia posta là dove si trova: essa stava a sorvegliare la strada che portava i turchi da Mortegliano a Lestizza e difendeva il più grosso agglomerato di case.
Se non ci fosse stata questa strada non si capirebbe perchè gli abitanti di quel tempo, che pur non erano sciocchi, avessero costruito una torre così bella e alta, lì, in mezzo ai prati.
Un po' più distante si trova via di Grovies che, in slavo, significa: via delle Tombe. Ora dobbiamo sapere che i turchi, non essendo cristiani, non seppellivano i loro morti nei cimiteri. Ciò del resto sarebbe stato molto difficile, perchè i cimiteri erano intorno alle chiese, e le chiese erano al centro delle cortine ben fortificate.
Essi usavano sepellire i loro morti ai margini delle strade, coprendoli di terriccio e di sassi. Appunto per questo, in Friuli, molte località sono denominate: Tomba. Grovies, significa appunto via delle tombe.
Così abbiamo ancora tre ricordi ben vivi delle invasioni turche: la toresse di Garzìt che montava la guardia, la via di Starpét per la quale arrivavano i turchi e la via di Grovies lungo la quale furono sepolti i loro morti.