Riccardo Fabris irredentisa con Guglielmo Oberdan

di Luigi De Boni - Las Rives 2000

All'indomani dell'unità nazionale (1861) l'Italia si trovava in una condizione di isolamento nei confronti delle maggiori potenze estere. Ostile era l'Austria, il nostro tradizionale nemico, ancora in possesso del Trentino e della Venezia Giulia, e neanche con la Francia i rapporti erano buoni, sia perché i clericali francesi sollecitavano la restaurazione del potere temporale, sia per le rivalità coloniali in Tunisia, che di lì a poco sarebbero sfociate nella rottura dei nostri rapporti commerciali con quel Paese. Inoltre, poco fidata era la Germania che cercava di ampliare a suo vantaggio il dissidio italiano con la Francia.

Al congresso di Berlino (1878) l'Italia aveva potuto sperimentare le conseguenze dell'isolamento e della politica cosiddetta delle "mani nette": infatti, oltre a non ottenere un palmo di terra, si era vista gravemente danneggiata dalle concessioni all'Austria nei Balcani. Era necessario, quindi, acquisire maggiore forza sul piano internazionale, e la sola alleanza che appariva possibile a tale scopo era quella con i due imperi centrali: Austria e Germania. Nacque così tra Italia, Austria e Germania, la Triplice Alleanza (1882) che, successivamente rinnovata, durò fino al 1915.
Il nostro Paese, finalmente, era riuscito a rompere il suo isolamento, ma l'alleanza ebbe due aspetti negativi: primo, fu intesa in senso puramente difensivo, e ciò offrì all'Austria e alla Germania il pretesto per non appoggiare minimamente le iniziative italiane sul piano coloniale. E in effetti durante la guerra in Abissinia (1895-1896), Berlino e Vienna si rifiutarono di sostenere, anche diplomaticamente, la nostra azione, dichiarando che la Triplice era un patto conservativo e non una società di profitti; secondo, fu sempre considerata un matrimonio di convenienza, che limitava notevolmente la libertà d'azione, e che soffocava affetti profondamente sentiti dagli italiani. Ciò favorì il riaccendersi violento, nel Regno e a Trieste, del movimento irredentista, cioè di quel fervore di idee i cui sostenitori esaltavano e difendevano con ogni mezzo i valori nazionali rispetto alla dominazione straniera.

Già il 9 gennaio 1879 era stata costituita l'Associazione delle Alpi Giulie, Unione di Roma, la cui nascita fu merito soprattutto di due giovani, amici fraterni, che idealizzavano una Trieste libera dalle vessazioni austriache e ricongiunta alla Patria italiana.
Essi erano: il triestino Guglielmo Oberdan, e Riccardo Fabris, originario di Lestizza e figlio dell'onorevole Nicolò.
Gli obiettivi che l'Associazione si prefiggeva erano, come si poteva leggere all'art. 2 del suo Statuto: "(...) propugnare con ogni mezzo legale l'annessione allo Stato Italiano della Venezia Giulia e (...) porgere opportuno aiuto, sì morale che materiale, agli emigrati politici di Trieste, Gorizia e Istria in Roma e sua provincia, qualora per la loro incensurata condotta [ne fossero stati degni]". L'Associazione consentiva, quindi, di provvedere più facilmente ai bisogni economici immediati degli immigrati giuliani ed istriani. Inoltre, avendo maggiori mezzi di propaganda tra il popolo, era possibile farsi sentire meglio dal Governo. Riguardo poi i componenti, in una relazione per l'assemblea del 10 aprile 1879, concertata fra il Fabris e l'Oberdan, si affermava che i soci effettivi al 31 marzo 1879 erano 53. Ce n'erano anche 41 onorari, e la loro presenza era giustificata dall'opportunità di offrire un posto anche a quelle persone che si distinguevano nello Stato per i loro patriottismo e cultura.
Per citare qualche nome: Giuseppe Garibaldi, presidente, Menotti Garibaldi, Matteo Renato Imbriani, Giobatta Cella e Nicolò Fabris, per il cui tramite l'Associazione riceveva parte della corrispondenza e cioè quella che, avendo carattere più delicato, si riteneva opportuno indirizzare al nome di un Deputato al Parlamento.

L'Associazione per le Alpi Giulie ebbe tra i suoi meriti la pubblicazione di molti scritti, tra i quali un volumetto di ispirazione patriottica, rivolto agli emigranti, e dal titolo La stella dell'esule, nonché un secondo resoconto morale ed economico per l'assemblea generale ordinaria dell'11 agosto 1879, sempre a cura di Fabris e di Oberdan, nel quale veniva rilevato come al 31 luglio 1879 i soci fossero saliti a 103, di cui 63 effettivi e 40 onorari.
Nel 1880 l'Associazione cessava di fatto, trasformandosi nell'Associazione per Trieste e Trento - Unione di Roma ed il cui scopo, come si poteva leggere all'art. 2 dello Statuto, era quello dì "(...) propugnare con ogni mezzo legale l'annessione allo Stato Italiano della Venezia Giulia e della Tridentina".
Si vede, dunque, come l'attività cresceva e fruttificava: ora ci si ricordava anche di Trento. E tale attività, prima ancora che dal sangue, era stata alimentata dalla fede di Guglielmo Oberdan nelle proprie idee, fede che si moltiplicò dinanzi alle indifferenze e alle difficoltà dei Governi, preparando quel gesto di sfida che brillò per anni nel grigiore della vita politica italiana: nel 1882, infatti, Oberdan cercò di compiere un attentato contro la vita dell'Imperatore d'Austria Francesco Giuseppe. Scoperto dalla polizia austriaca, prima ancora di aver mandato ad effetto il suo proposito, fu egualmente condannato a morte. Salì coraggiosamente il patibolo in una piovosa mattina di dicembre, espiando così con la forca la sua generosa utopia. La notte precedente la cattura, così sembra, l'avrebbe trascorsa a Lestizza nella villa dei nobili Fabris, e quando andò alla morte aveva addosso una camicia dell'amico Riccardo.

Guglielmo Oberdan, un "martire triestino"

Guglielmo Oberdan nacque a Trieste il 1 febbraio 1858.
Dopo aver conclusi nella sua città gli studi medi tecnici, si trasferì nel 1877 a Vienna dove si iscrisse alla facoltà d'ingegneria. L'anno successivo, essendo stato richiamato alle armi in seguito alla mobilitazione austriaca per l'occupazione della Bosnia, volendo sottrarsi al servizio militare austriaco fuggì a Roma dove, pur continuando gli studi universitari, divenne uno dei membri più attivi del movimento irredentista. L'odio che in lui andava maturando sempre di più verso il dominio austriaco crebbe al punto tale che nell'anno 1882 fu partecipe di due atti, il secondo dei quali gli fu fatale. Durante l'estate di quell'anno le manifestazioni promosse dai circoli ufficiali austriaci per la commemorazione del 5° centenario della "dedizione" di Trieste agli Asburgo alimentarono un forte fermento nei vari circoli irredentisti, e una prima reazione, cui Oberdan non fu estraneo, si ebbe il 2 agosto: una bomba venne lanciata contro un corteo di veterani austriaci.

Ma l'eccitazione giunse al culmine quando tra il popolo si diffuse la notizia che in settembre l'Imperatore Francesco Giuseppe si sarebbe recato nella città giuliana. Persuaso che "la causa di Trieste avesse bisogno del sangue di un martire triestino", il 14 settembre partì, armato di due bombe, diretto per quella città assieme all'istriano Donato Ragosa, e con il preciso intento di compiere un attentato alla vita dell'Imperatore.
Le circostanze avrebbero poi determinato il modo della protesta.
Ma il proposito, la partenza e l'itineraria erano già noti al Governo austriaco a causa del tradimento di due spie insospettate: l'avvocato G. Fabris Basilisco, già collaboratore dei circoli irredentisti, e l'ungherese Francesco de Gyra, che era stato ufficiale garibaldino durante le guerre d'Indipendenza. Accadde così che il 16 settembre, in una locanda di Ronchi, Guglielmo Oberdan veniva arrestato, mentre il Ragosa riusciva a sfuggire alla cattura.

Sottoposto immediatamente a processo, tenne un contegno superbo in tutti gli interrogatori, dai quali emerge sempre la sua volontà di sacrificio, come traspare dalla storica frase: "Io ho confessato tutto ciò che può solo nuocermi". Condannato a morte mediante impiccagione, e respintala domanda di grazia presentata dalla madre, nonostante gli appelli di clemenza rivolti da tutto il mondo civile all'Imperatore d'Austria, fra gli altri anche quello dello scrittore Victor Hugo, l'esecuzione ebbe luogo nel cortile interno della Caserma grande di Trieste il giorno 20 dicembre 1882. Secondo quanto riferisce un rapporto ufficiale, mentre il boia e i suoi aiutanti gli applicavano i ceppi Oberdan "emise continuamente le grida di Viva l'Italia, Viva Trieste libera, fuori lo straniero; grida che coprirono il rullo dei tamburi finché gli morirono nella strozza".

Riccardo Fabris, patriota ed intellettuale

Riccardo Fabris nacque a Lestizza nel 1853 da Nicolò e Felicita del Mestri. Lasciato da giovane il suo paese natale per seguire l'inclinazione agli studi economici e sociali, che per tutta la vita sempre lo animarono, si trasferì a Padova dove si laureò in legge, e successivamente a Firenze al fine di perfezionarsi all'Istituto di Scienze Sociali. Dopo un primo impiego all'ufficio di Statistica del Ministero di Agricoltura di Roma, lavorò in seguito nelle assicurazioni: prima a Genova, e poi a Milano come direttore della Cassa Nazionale Infortuni, presso la quale rimase per quattordici anni. Durante quel periodo fu anche segretario del "Congrés International des Accidents du travail et des assurances sociales".
Data la sua speciale competenza in materia economica, nel 1906 fu eletto dalla Federazione delle Società Italiane di Mutuo Soccorso quale loro rappresentante nel Consiglio Superiore del Lavoro. Vanno ricordate a questo proposito le pubblicazioni: Gli infortuni del lavoro, Saggio statistico sugli incidenti del lavoro, I miracoli della previdenza, Gli sgravi dei consumi, Il risparmio in Friuli e Il risparmio in Italia.
Compì numerosi studi in materie diverse; in particolare, per quanto riguarda il Friuli, sono notevoli i suoi lavori sul porto di Marano Lagunare.

Anzi, fu merito suo se venne ripresa l'idea, già caldeggiata in precedenza da Pacifico Valussi e Prospero Antonini, di costruire in quel paese un grande porto. Come segno di riconoscenza il Comune di Marano Lagunare l'aveva fatto suo cittadino onorario, e l'Accademia Udinese suo socio corrispondente. Da segnalare i lavori: Per un nuovo porto in Friuli (1906) e Al mare. Contributo agli studi per il nuovo porto di Marano Lagunare e per la difesa del Friuli (1909). Ma la fiamma viva che animò quest'uomo lungo tutta la sua vita fu il puro ed ardente patriottismo.
Come ho detto sopra egli sostenne, fin da quando era giovane studente, l'irredentismo, e aspirò sempre ad un'Italia grande e potente. Nel lontano 1903 tutti lo ricordavano ad Udine quale segretario del Congresso Irredentista, cui prese parte anche il generale Ricciotti Garibaldi. E non a caso il suo primo lavoro fu: Il confine Orientale d'Italia (1878) e l'ultimo: Italia e Austria: per un'intesa (stampato tre mesi prima della sua morte, avvenuta a Lestizza il 26 giugno 1911).

Secondo quanto riferiscono le cronache dell'epoca ai suoi funerali, che si svolsero a Lestizza il 28 giugno 1911, tra i numerosissimi partecipanti ci fu anche Romeo Battistig, per conto della Società Patria pro Trieste Trento di Milano, della quale il Fabris era stato alternativamente presidente e consigliere. Nel discorso che tenne fu detto che la sua attività irredentista "non [fu mai] diretta a suscitare guerre fratricide; ma a cercare una condizione di cose che spingesse i governanti a preparare la Nazione militarmente forte pronta a rintuzzare qualunque attacco e a difendere la propria razza contro la prepotenza straniera. (...).
Il Fabris ereditò dal padre, egregio patriota, l'odio contro questa prepotenza, odio che temprò nei dolori dell'emigrazione e nelle lagrime del biondo martire Triestino che più che un amico fu [per lui] un fratello".