San Martin dai colonos, una storia di mezzadri

di Romeo Pol Bodetto - Las Rives 1998

Fino a non molti anni fa la stagione di San Martino non era nota per la famosa "estate" di letteraria memoria, ma per la gente che lavorava i campi a mezzadria (i cosiddetti colonos) quello era il momento di cambiare padrone e campagna da lavorare. Ciò accadeva vuoi per incompatibilità con il proprietario del fondo, vuoi per la crescita delle famiglie, che non potevano più vivere insieme e si dividevano (lâ four di famèe) per formare un proprio focolare. Tutte queste vicende avevano un aspetto di drammaticità, sia nel caso della separazione affettiva di chi fino a quel momento aveva condiviso dolori e gioie (più quelli che queste), sia nel caso di piccole o grandi violenze nei rapporti fra padroni e coloni. Cose all'ordine del giorno nel mondo rurale.

La mia famiglia, a cavallo di questo secolo e fin quasi ai giorni nostri, è in questo senso esemplare: tanti furono i San Martin che scandirono la nostra storia.
La famiglia di mio padre proviene da Fossalta di Portogruaro.
Il nonno era del posto, la nonna di Morsano al Tagliamento. Sposati che furono, ebbero 12 figli: due morirono prematuramente, due se li prese la guerra e otto sopravvissero, formando via via altrettante famiglie. Nei primi anni di questo secolo perciò il gruppo, diventato troppo esteso, si divise in tre rami: uno rimase a Fossalta, il secondo andò a San Vito e l'ultimo (quello di mio padre) cominciò a pellegrinare per il Friuli centrate. Il primo San Martino li portò a Rivis al Tagliamento, località casali Paparotti. Dopo solo pochi anni la colonìa non era sufficiente per sfamare tutti, così dovettero cercarne una più grande: la trovarono a Redenzicco, dove i quattro figli e le quattro figlie, arrivati all'età della ragione, cominciarono a sposarsi.

Mio pare sposò una ragazza la cui famiglia era a mezzadria a S. Odorico (e che proveniva da Gemona, loro pure partiti dal loro paese nativo perché la casa dove abitavano e la campagna erano troppo piccole per sfamare due gruppi familiari). Il padre di mia madre, oltre al lavoro nei campi, faceva il carradore (cjariadôr), cioè trasportava con il carro ghiaia e materiali vari, il fratello faceva il malgaro (del resto il loro cognome Pascolo suggeriva proprio un'origine tra i monti). Pure loro erano in otto, e così dovettero prendere la strada del mestiere del mezzadro e vennero a S. Odorico.
Dopo il matrimonio di mio padre, la nascita di mio fratello Antonio e di altri cugini, la colonìa non bastava più.
Però intanto si era instaurato il Fascismo, e a causa della fede socialista da sempre sostenuta in casa, i Pol Bodetto non riuscivano a trovare terra da lavorare in Friuli (fu una punizione per le idee politiche).
Così emigrarono nel sud: trovarono una colonìa in provincia di Matera. Partirono lasciando con dolore parenti e amici, alla volta di un mondo culturalmente diverso. Portarono con sé anche parecchi animali (mucche, cavalli) e ritornarono dopo tre anni pieni di pidocchi, dopo averne passate di cotte e di crude. Lasciarono laggiù un cugino ucciso per aver "sgarrato", come dicono loro (aveva avvicinato una ragazza del posto e ci lasciò la pelle).

Mio padre mi raccontava sempre la miseria che soffrirono in quei tre anni e le paure che passarono con i locali. Noi allegri ed espansivi, loro schivi e chiusi: come il giorno e la notte.
Da Matera tornarono in Friuli e andarono provvisoriamente a Savorgnano al Tagliamento; poi si trovò una colonia ad Ariis di Rivignano.
Poco dopo il matrimonio degli ultimi figli, si pose di nuovo il problema della poca terra per mantenere le troppe bocche da sfamare. E così, uscirono di casa le due figlie e un figlio, altri due emigrarono all'estero. Gli ultimi tre fratelli, compreso mio padre, vennero coloni a Sclaunicco sotto Tavano Ezio, ed abitarono nell'ultimo casale andando a Galleriano.
In questo luogo è nato nel 1938 mio fratello Luciano e nel '44 venni al mondo pure io. In questa colonìa la mia famiglia stette 10 anni. Ci fu la guerra: cosa si dovette passare in quel periodo!
Il richiamo sotto le armi, i bombardamenti, i Cosacchi, i partigiani: essendo il casale isolato e vicino alla pista utilizzata per i velivoli da guerra, le provarono tutte.

Dopo il conflitto, tornò lo zio più giovane dalla prigionia. Questo ebbe due figlie, e intanto erano cresciuti anche gli altri cugini: così... la famiglia si divise ancora. Uno zio rimase nella colonìa, uno espatriò e mio padre, caricati sul carro noi e le masserizie per l'ennesima volta, andò colono a Flaibano sotto il cav. Vittorio Cescutti. Lì rimanemmo dal '47 al '55, per poi trasferirci di nuovo a Redenzicco: non più coloni ma in affitto presso un fratello di mia madre che con il lavoro nelle miniere del Belgio aveva comperato una casa con un po' di terreno. Ci restammo fino al 1960; i miei fratelli erano intanto emigrati in Germania ed in Svizzera. Io, date le migliorate condizioni economiche, potei andare a scuola a Spilimbergo e imparai il mestiere del piastrellista. Con i risparmi e le rimesse dall'estero comprammo una casa a Sclaunicco, un po' di campi e nel '60 tornammo in paese, come desideravano i miei genitori ormai anziani. Fu per loro l'ultimo San Martino, perché finalmente avevano una casa loro. Nel '62 io pure emigrai in Svizzera per due anni; poi ritornai per fare il militare.

Ma in seguito mi misi in proprio, mi costruii la casa per sposarmi e per me questo fu l'ultimo trasferimento. Finalmente non era un San Martino tragico, come molti di quelli sofferti dai miei genitori e antenati.

Chissà quali ricordi ho risvegliato in chi fece questa stessa vita... In fin dei conti non furono solo giorni brutti (la gioventù fa dimenticare i disagi); ci furono anche momenti positivi, passati a conoscere luoghi e a socializzare con la gente dei paesi. Ancora molti si ricordano di noi.